Una storia condotta sul filo del thrilling.

Sullo sfondo le Dolomiti. Un incontro apparentemente casuale tra Paolo, un giovane alla ricerca di tradizioni sui luoghi divenuti patrimonio dell’umanità, e una donna, Anna, affascinante e nello stesso tempo misteriosa, dà origine ad una storia che tiene avvinto il lettore fino al suo epilogo.

Cos’è accaduto ad Anna? I suoi occhi neri, ipnotici, nascondono un dramma, un passato al limite della follia. Dietro una famiglia apparentemente normale possono celarsi tragedie inconfessabili.

” Il campo dei Colchici” di Maria Gabriella Giovannelli – 2009 – Edizioni Joker – pp. 216

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Giovannelli_libroLa sera scendeva sulla valle e le montagne d’intorno sparivano lentamente dietro un velo di nebbia. Faceva molto caldo. Lei era affacciata ad una finestra, al secondo piano dell’unica casa-albergo del passo. Mi fermai ad osservarla: guardava verso un punto lontano, come se con lo sguardo volesse valicare monti e pianure e raggiungere qualche cosa che era al di là. Aveva i capelli color nero corvino, diritti sulla fronte, leggermente più lunghi sotto le orecchie e dietro, lungo il collo. Creavano un evidente contrasto con la pelle chiara del viso dai lineamenti sottili. Dopo aver visto partire l’ultima corriera, si mise un asciugamano sulle spalle ed incominciò a pettinarsi, spazzolando a lungo quei capelli già diritti.

Entrai nell’albergo-rifugio: la sala del bar era deserta; sui tavoli c’erano i resti delle consumazioni e l’ambiente emanava una sensazione di squallore. Fui preso dalla tentazione di andarmene, stavo per farlo quando qualcuno alla mie spalle mi chiese che cosa desiderassi. Mi voltai: vidi vicino al banco della cassa un uomo di media età, non molto alto, robusto, leggermente stempiato. I suoi modi erano gentili, anche se qualche cosa di lui non mi convinse fin da principio. La mia fu una sensazione immediata, quasi epidermica. Chiesi di poter alloggiare lì per una notte; l’uomo aprì la porta che dava sulle scale e chiamò qualcuno a voce alta.

– Dovrà accontentarsi – disse poi incominciando a raccogliere carte, bicchieri e piatti sporchi – siamo al completo in questa stagione.

[…]

 

 

Terminato il pasto, non avevo alcuna intenzione di chiudermi in camera: quell’ambiente mi rattristava. Mi infilai la giacca a vento e uscii sul piazzale antistante il rifugio. Aveva momentaneamente smesso di piovere; la valle era immersa nel buio ed ogni cosa assumeva un aspetto strano, quasi irreale. Le montagne erano grandi macchie nere sulla cui sommità s’intravedeva un pallido chiarore. Mi accorsi poi, l’indomani, che aveva nevicato sulle alte cime. Qua e là si scorgevano luci, come piccoli fari di riferimento nella vallata. Poco distante doveva scorrere un torrente; nel pomeriggio non l’avevo visto, ora, nel silenzio, la sua voce era intensa e roboante. La curiosità fece sì che m’incamminassi nella direzione dalla quale proveniva il rumore dell’acqua. Feci pochi metri, poi all’improvviso sentii l’impulso di tornare indietro, come se fossi stato assalito dai fantasmi della mia fantasia. Accesi la pila che avevo portato con me; sotto il riflesso di quella luce, la natura circostante assumeva strane conformazioni. Mi fermai e rimasi al buio: nell’oscurità mi sentivo più sicuro. Fatti pochi passi mi ritrovai nel piazzale antistante il rifugio, dove arrivavano confuse le voci dei ragazzi. Mi sedetti su un masso e rimasi lì, per una decina di minuti, senza pensare a nulla. Stranamente ora provavo un profondo senso di pace. Il buio non mi dava più fastidio; anche la mia vista vi si era abituata.

A poco a poco sentii che l’umidità mi penetrava nelle ossa e decisi di rientrare. Alcuni ragazzi erano saliti in camera, altri giocavano a carte; il prete, in disparte, vicino al caminetto acceso, leggeva. Come entrai nella sala sollevò lo sguardo dal libro e mi sorrise.

 […]

 

 

– Conosco bene questi luoghi, perché, come le dicevo, ci sono nato. Quante cose ho visto cambiare! So anche fare la voce grossa quando accade qualche cosa che non mi va! Non dovevano ad esempio lasciare che costruissero qui davanti quel parcheggio… e tutti quei pullman che vanno avanti e indietro per la vallata, sempre avanti e indietro! Per la miseria, non sarebbe successo!

– Cosa accadde?

– È una storia lunga, gliela racconterò un’altra volta: ci vogliono molta calma e tempo per capire.

La vicenda incominciò ad interessarmi: quella sensazione strana che avevo provato entrando in quel luogo, quel misto di attrazione e di mistero che aleggiavano intorno ad Anna mi intrigavano sempre più.

L’uomo si fece d’un tratto pensieroso e poi, come per concludere un ragionamento fatto mentalmente – Purtroppo la signora Anna non vuole andare via da qui – disse alzandosi e chiudendo il libro che aveva in mano.

– Perché?

– La conosco fin da quando è nata; potrebbe essere mia figlia, si fa per dire. Quando butteranno giù questa casa – continuò tornando a sedersi – anche per me sarà difficile trovare un posto dove andare a passare l’estate con i miei ragazzi. A me non piacciono i cambiamenti; quando mi affeziono ad un posto, ci ritorno sempre.

[…]