Nota di lettura di Eugenio Nastasi

MARIA GABRIELLA GIOVANNELLI IL CAMPO DEI COLCHICI

EDIZIONI JOKER, 2009

Nota di lettura di Eugenio Nastasi

 

Maria Gabriella Giovannelli nella sua prova narrativa d’esordio, “Il campo dei colchici”, muove dalla classica storia d’amore intesa nel suo catalogo di verità da scoprire rivangando il passato e accogliendo nella scrittura esperienze vissute che diventano, nel romanzo, conquista fondamentale. L’essenzialità espressiva, la caratterizzazione dei personaggi (molti dei quali assurgono via via a co-protagonisti dei due primattori), i colpi di pennello gettati qua e là per fissare sfumature di cieli e di montagne alte, portano questo “racconto lungo” dal piano formale o arcadico delle prime sequenze a quello esistenziale, ben più complicato e ricco di sviluppi.
Il contenuto di questa narrazione è desunto dalla vita comune della gente alpina e si snoda secondo vicende che trovano, nelle qualità tutte femminili dell’autrice, il fervore dei sensi umani e l’amore della terra e della natura. Né si può giocare al ribasso sulle doti di scenografo ejo regista della scrittrice, come acutamente evidenzia il Prefatore, anzi bisognerà assegnare a questa sua inventività architettonica il controllo del teatro scenico e la mano sicura nella dislocazione seriale dei personaggi. La Giovannelli recupera nella pagina l’espediente, non molto frequentato dalla narrativa italiana più recente, il dialogato hemingwajano che non solo velocizza gli eventi me ne diviene modus operandi per allusioni e simbologie psicologiche. Queste, nello srotolarsi degli accadimenti, si
diradano o si infittiscono con aperture verso un realismo, direi, spontaneo, in quanto suggerito o meglio spinto dalla realtà umana, di quel gioire o soffrire a volte posti a suggello della “fatica di vivere” a volte tenuti in riserbo per pudore di una confessione intima.

A tenere in scacco il lettore interviene la reticenza comunicativa dei protagonisti, ognuno ingarbugliato nel suo bozzolo caratteriale, l’uno con trascorsi effettivi a brandelli ultimo dei quali una relazione amorosa finita e non dimenticata, l’altra col groviglio psico-drammatico di un matrimonio conclusosi tragicamente con la perdita del marito e del figlioletto. Ed è nelle pagine in cui Anna, figura ‘di spicco in tutto il libro, si svela o si ritrae che la scrittura emerge come terapia e, insieme, esorcismo letterario a parziale e provvisoria consolazione alla violenza perpetrata verso la donna, decisamente
insopportabile perché vissuta nelle mura domestiche o nella solitudine privata degli affetti.

Il racconto, che diverrà solo in finale passione amorosa catartica per i protagonisti, fa leva sul continuo cambio di scena, sulle mezze frasi dei comprimari (alcuni dei quali come il vecchio e don Enrico di efficace presenza morale) e su una serie di siti-emblemi carichi di simboli come il rifugio da abbattere, la segheria, la ruspa e il campo dei colchici. Dentro a questi luoghi, in un tempo breve di accavallarsi di fatti e colpi di scena, le emozioni che accompagnano i ricordi o i nuovi e anche violenti sviluppi della vicenda, non ultimo il disvelarsi del carattere esaltato e manesco del cugino Luigi, si isolano e si condensano nei momenti culminanti del narrato, con una incisività di espressione che spinge verso l’esagitato epilogo in modo perentorio e suasivo.

Eugenio Nastasi